mercoledì 27 gennaio 2016

Un letto vero, un water e gli invisibili di Padova

Foto: Giorgio Boato - Caritas Padova
Strana coincidenza, proprio mentre gli operatori della Caritas di Padova stavano lavorando al loro primo progetto di housing first, una parrocchia del centro città li contattò per mettere loro a disposizione due appartamenti in comodato d'uso. «Ci è sembrato un segno – racconta Sara Ferrari. – Come Caritas ne avevamo altri due, e siamo partiti con il progetto La strada verso casa».

Quello che stanno sperimentando a Padova è una sorta di ibrido tra l'accoglienza tradizionale e il modello “puro” di housing first nordeuropeo, che prevede una sola persona per casa (Cos'è l'housing first?

«Da noi non sarebbe stato sostenibile, perché le persone non hanno un reddito di cittadinanza e chi non ha un lavoro non può contribuire alle spese. Per questo non restano per un tempo indeterminato ma per circa un anno».

Il percorso, certo, è fatto di piccoli passi, che a volte possono sembrare banali.
Giovanni, i primi giorni, ha fatto fatica a dormire in un “letto vero”, come lo ha chiamato lui.
A Claudio gli operatori Caritas avevano chiesto di partecipare a un progetto fotografico: fotocamera alla mano, doveva fotografare oggetti, scene, momenti che per lui rappresentavano la vita in strada e altri che significativi della vita in casa.
Sorpresa, per simboleggiare la vita in casa Claudio fotografò il water.


Dal 2013 hanno accolto una ventina di persone, di cui otto camminano già con le proprie gambe. Alcuni avevano quindici anni di strada alle spalle, altre l'avevano persa da poco o erano a rischio.
Alessandro era un artigiano, ma a causa della crisi perse il lavoro, la casa, tutto.
E arrivò pure una condanna a dodici mesi in carcere.
Lì scoprì di soffrire di una grave forma di diabete che richiedeva molti esami e cure continue. «Finché è stato dentro ha potuto curarsi, quando è uscito, senza casa, non è più riuscito a essere costante nelle cure: e come si fa in strada? Aveva iniziato a fare dentro e fuori dall'ospedale, peggiorando sempre più».
Fu il dormitorio a segnalarlo alla Caritas, «e gli abbiamo dato una delle nostre case – racconta ancora Sara –: finalmente con uno spazio suo è riuscito a curarsi fisicamente e psicologicamente. Dopo otto mesi è riuscito a trovare un contratto a tempo indeterminato e ora vive in una stanza tutta sua, autonomamente».

E poi c'è lui, quello che era lì per strada da quindici anni, quello che nessuno guarda. E che se guarda, al più, classifica come “il barbone”.
Lui, che al massimo aveva fatto qualche periodo nel dormitori, ha trovato casa in uno di questi appartamenti.
Lui, che non aveva nome e che era invisibile, oggi ha l'aiuto del fornaio e del fruttivendolo del quartiere che gli passano l'invenduto.
Oggi c'è una comunità che lo conosce, c'è il giornalaio che tutti i giorni lo saluta e gli dice «ciao, Enzo».
Oggi Enzo non è più l'invisibile.



Cos'è l'Housing first

L'housing first è un approccio (applicato ormai da anni in Europa e che sta dimostrando di funzionare) che ribalta i tradizionali servizi e aiuti ai senza dimora: non più un percorso “a gradini” come è chiamato, che prevede che la persona senza dimora acceda prima ai servizi di prima emergenza, come i classici grossi dormitori, le mense, i servizi docce, e poi – seguendo un percorso – passi a una struttura di accoglienza sempre più piccola, prolungata e stabile fino a giungere, dopo anni, alla possibilità di una casa propria e parallelamente al mondo del lavoro, rientrando piano piano nella società, ma si inverte tutto.

La casa, qui, invece non è più l'ultima conquista, ma il primo diritto da cui partire. Molte storie ormai sembrano dimostrare che, quando una persona ha una propria casa, è più facile che intrecci relazioni con il vicinato e quindi la società, che abbia una dimensione di stabilità che gli permetta di star meglio fisicamente e psicologicamente, ha più opportunità anche di accedere a un lavoro.

(per maggiori info vedi il sito dedicato)



Alcune di queste storie,
insieme ad altre,
sono state pubblicate sul numero 198
(febbraio 2016)
di Scarp de' tenis

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