mercoledì 2 ottobre 2013

Fermata: Volta | Questa è violenza, non troppo amore


Son capaci tutti, adesso, di parlare.
Si riempiono la bocca di discorsi sulla violenza, di paroloni, "femminicidio", riempiono pagine di giornali e talk show.
Se ne sono accorti adesso, loro. Come se fosse cosa nuova.
Io, ad esempio, me ne sono accorta da almeno trent'anni.

No beh, forse non proprio trenta. All'inizio non me ne ero accorta, no.

Non ci facevo caso, oppure pensavo è normale, succederà anche alle altre, non è niente, è stato solo uno scatto d'ira, è fatto così.
Erano momenti, poi passavano.

All'inizio Marco non alzava mica le mani. Forse solo qualche spintone, ma piano, nulla di che. Poi tornava carino come sempre, era così protettivo.

Quando ci siamo sposati mi ha convinto a lasciare il lavoro.
Non serve che lavori anche tu - diceva - quello che guadagno io ci basta, basta la fatica che faccio io, tu occupati della casa, diceva così, e goditi il bambino, quando poi è arrivato Luca.

Ma non è che stare a casa fosse così facile. Non uscivo molto, solo per fare la spesa.
Molte amiche le avevo perse per strada durante gli anni del fidanzamento, la mia famiglia non era vicino. Non vedevo più nemmeno i colleghi, e poi con il bambino pensavo solo a lui, mi assorbiva tutte le energie.

Arrivavo a sera stanca, ma quando Marco arrivava, dal lavoro, era più stanco di me poverino.
Si arrabbiava quando mi lamentavo. Cosa avrai mai fatto per essere stanca, mi urlava, cosa sarà passare due pavimenti in tutto il giorno e star dietro a un bambino!

La cosa che mi pesava di più era il fatto di dover chiedere sempre i soldi a lui. Per la spesa, per i vestiti e la scuola di Luca.
Mi centellinava tutto, e che storie per darmeli.
Pensava che li spendessi per me, che non fossi capace di fare la spesa. Finivano sempre troppo in fretta, ma le cose costano, anche se stai attenta a tutte le promozioni. Lui si arrabbiava.

Quella volta che mi comprai un maglione al mercato - costava proprio poco, e io ne avevo bisogno - mi arrivò il primo ceffone. Mi spaventai, ma lui si accorse di aver esagerato: scusami - mi disse - sono stanco, al lavoro è un periodo stressante, abbiamo molte consegne e ho perso la pazienza.
Gli credetti.
Gli credevo da anni, e sarei andata avanti altrettanti.


Ma dopo quello ne arrivarono altri.
Perché avevo bruciato una cena, perché si era rotta la lavatrice, perché Luca stava andando male a scuola e io non ero capace di seguirlo, perché avevo messo due chili durante l'inverno e non ero capace nemmeno di tenermi in forma, perché Luca voleva il motorino e io ero stata così molle da non levargli subito l'idea dalla testa.
Passavano gli anni, e io incassavo e stavo zitta, stavo zitta e lo giustificavo. E credevo a ogni promessa, a ogni scusa.

Luca ha iniziato l'università qualche anno fa, e ha deciso di andarsene di casa. Mi ha preso da parte, una sera, e mi ha detto: mamma, io me ne vado, cerco di salvarmi da solo. È ora che lo faccia anche tu.
È scattato qualcosa.

Ci misi ancora un bel po' a raccogliere il coraggio, ma poi, un giorno, andai alla Caritas.
Le donne mi sembrarono preparate. Ricordo l'impressione che fossero donne che di storie come la mia ne sentissero quasi ogni giorno, ma che mi ascoltassero come se fossi l'unica. Fu un percorso lungo, e alla fine decisi di provare a dare una svolta.

Mi ero guardata indietro, mi ero guardata dentro, e pian piano avevo capito che volevo una cosa: tornare a sentirmi capace. Capace di qualcosa.
Di stare da sola, per esempio.
Di fare un lavoro ed essere pagata per quello.
Di avere ancora delle amiche.
Di sapermi curare, anche solo capace di sapermi mettere lo smalto sulle unghie.
Qualsiasi cosa. Potevo.
Potevo, e lo feci.
Mi trasferii in un primo tempo in una delle comunità di accoglienza per donne della Caritas, mi aiutarono a trovare un lavoro, e poi dopo qualche mese trovai un appartamento e andai a vivere da sola.

Sono stata in quell'appartamento quasi un anno.
Anche Luca era venuto a trovarmi, mi diceva che era contento di vedermi così. Ma io no, non ancora. Avevo ottenuto quello che non avevo più avuto con Marco, ma mi sentivo infelice. Infelice e sola.
Un giorno telefonai a Marco. Lui fu felice, felicissimo di sentirmi, era stato così preoccupato, mi sembrò così dolce, e io di nuovo felice.
Forse era servito a tutti e due quel periodo, forse potevamo ricominciare.
Mi lasciai convincere a tornare a casa, mi promise che avrei potuto tenere il mio lavoro, che aveva capito, che le cose sarebbero cambiate da prima.

Sono tornata a casa sei mesi fa. All'inizio andava molto bene, poi, qualche volta, ha ricominciato a urlare.
Ieri ha alzato le mani.
Mi ha chiesto scusa, ha detto che non lo farà più.

Non lo so.
Non lo so come andrà. 
Ma stamattina ho riempito la valigia e sono salita sul bus. Torno alla comunità.



Se hai bisogno di aiuto o conosci qualcuno che potrebbe averne, uno dei servizi che può darti una mano è:
Caritas Ambrosiana - Area maltrattamento donne
Tel. 02 76037252
maltrattamentodonne (at) caritasambrosiana.it

La Caritas ha realizzato un progetto per informare sulla violenza sulle donne, soprattutto sulla violenza psicologica, ora visibile sul sito www.noneamore.caritasambrosiana.it 

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